IKEA della narrazione

Come nasce una scrittura?
Ovviamente questo è il mio personale processo creativo, quindi è meglio specificare che l’argomento è “come nasce la MIA scrittura”.
Credo che, al di là delle regole auree valide per tutti gli scrittori, tipo il Viaggio dell’Eroe, ognuno abbia un suo metodo per scrivere. Io di solito utilizzo l’esperienza diretta.
Come ho già detto in uno degli articoli, se scrivessi di omicidi i carabinieri mi stanerebbero subito, perché io narro solo cose che ho provato personalmente.
Tuttavia per questo particolare racconto ho voluto sviluppare un punto di vista maschile, quindi sono ricorsa all’aiuto di un amico, un edonista dichiarato che, tra i vari piaceri della vita, ha scelto quello che più lo appaga: il sesso.
Per riuscire a dare al racconto un punto di vista maschile credibile abbiamo parlato a lungo.
Vi svelo un piccolo segreto: sappiate che, se avete amici scrittori, sarà facile che questi vi stiano utilizzando per ispirarsi nelle prossime narrazioni.
Io ascolto molto e poi rielaboro. Questo per quanto riguarda il personaggio.
L’ambientazione è un altro sbattimento, perché o te la studi a tavolino oppure devi inventare di sana pianta, ma secondo me si sentirà sempre che non è convincente, tranne nel caso dei grandi scrittori, – cosa che io NON sono – che una volta avevano una squadra di specialisti che faceva ricerche al posto loro… magari adesso si arrangiano con internet, oppure si recano in loco se sono ricchi come Robin Masters.
A me piace respirare l’aria dei luoghi che descrivo, quindi in linea di massima sono tutti posti che conosco. In questo caso però il luogo doveva trasmettere un’impressione, quindi non è particolareggiato, cosa che lascia al lettore il piacere dell’immedesimazione, perché la sua fantasia riempie una scrittura volutamente rarefatta,
Ora la cosa più importante: l’argomento.
In questo caso ho dovuto riprendere in mano un libro per ristudiare l’argomento, “Dioniso e le donne”, un testo molto interessante che custodisco gelosamente nella mia libreria.
Quanto tempo mi ci è voluto per scrivere questo piccolo racconto? 24 ore in totale, non stop.
Non ho dormito fino a quando la narrazione si è conclusa.
Dopodiché l’ho lasciato “riposare”, come la torta di Nonna Papera sulla finestra, quindi l’ho ripreso in mano, limato e rifinito fino a quando il risultato mi ha soddisfatto appieno.
Altro segreto che vi svelo: non credete MAI a chi vi dice “buona la prima”, la scrittura non funziona così, magari l’idea sì, ma dietro a un buon testo ci sono professionisti di editing, correzione di bozze, lettori fidati che controllano il testo dopo lo scrittore.
Se vuoi scrivere un buon testo, ci vuole una squadra di professionisti alle spalle.
Un ultimo, piccolo disclaimer: io non scrivo per vendere ma per piacere personale. Certo, non mi farebbe schifo avere un riconoscimento pubblico, ma i miei testi sono per lo più indirizzati ai miei amici. Anche qua esiste tutta una schiera di professionisti atti a creare fenomeni di vendita stellare, ma non mi interessa. I miei testi devono prima di tutto soddisfare me. Veniamo quindi all’esempio pratico da cui ho tratto queste piccole “istruzioni IKEA” sul processo creativo della scrittura.

(SENZA TITOLO)

Ho 35 anni e le voglio tutte.
Voglio provare tutte le sensazioni che posso.
Ovvio che sto parlando di sesso, sono un uomo.
“Uomo”, non maschio.
La differenza? Il piacere.
Un maschio eiacula, non capisce.
Non può capire che il piacere sta in un particolare: nel procedere come in un’opera: movimenti.
Primo Atto.
Secondo Atto.
Terzo Atto? Non lo so… devo vedere dove mi portano le mia voglie.
Sono nell’età tipica dell’uomo consapevole.
So ciò che voglio.
La natura mi ha dotato, in tutti i sensi.
Soprattutto nel desiderio.
No, scherzo.
Pari merito sesso e desiderio.
Altrimenti il gioco non funzionerebbe: mi definisco “un volontario del sesso”. Mi piace farlo e basta.
Edonismo, da vocabolario “quell’atteggiamento estetico o sistema di vita motivato dalla ricerca del piacere”.
Nel mio caso “… e sistema di vita”.
Un esempio? Condurre il gioco per far arrivare le persone dove voglio io.
“Ti lasceresti fare i tarocchi da me?” mi dice lei.
Un gioco sciocco nella pigrizia di un caffè strappato al casino di ogni giorno.
“Perché no?”
Sole pieno sul tavolino.
Lei mescola le carte con calma, parlando di tutt’altro.
“Pensa a ciò che desideri intensamente” sbotta all’improvviso.
Ci penso sul serio.
Sciorina davanti a me una, due, tre carte.
Mi chiede di alzarle una a una.
Le guarda, scoppia a ridere, poi ritorna seria ma il sorriso aleggia ancora sul suo viso. Ha capito.
“Non è così semplice. Questa volta devi darmi qualcosa in cambio”.
“… sarebbe?”
“Poca roba in realtà: piena fiducia e una goccia del tuo sangue”
Che l’avventura cominci, vediamo dove mi porterà questa volta.
Si deve scegliere un luogo a contatto con la natura, mi spiega.
Niente riti selvaggi, nudi a urlare nei boschi, ride, quelle sono leggende; basta che gli elementi naturali ci siano vicini.
Una terrazza sul mare, ben isolata da sguardi indiscreti.
Luna piena, ovvio, e per questo non c’è nulla da fare: dobbiamo aspettare la notte adeguata, che arriva come tutto ciò che desidero nella vita.
Vino, per entrare in contatto con le divinità, quelle che vogliono farsi momentaneamente spazio dentro di noi, mi spiega.
“Qualsiasi cosa accada, non spaventarti”
Rido.
Come le avevo promesso, le regalo una goccia di sangue.
Una banale lancetta medica fa il suo mestiere adeguatamente.
Sono passati i tempi del coltello sul palmo della mano, grazie al cielo.
Mi strizza il pollice dentro al calice, poi ci aggiunge del rosso.
Fa lo stesso col suo dito.
Le candele sono già accese, l’odore di salso del mare sostituisce il migliore degli incensi.
Abbiamo gli elementi dalla nostra.
Stiamo in silenzio a riflettere, io col mio calice mezzo pieno, lei col suo vino addizionato col sangue.
Tiene delicatamente il bicchiere tra le dita, appoggiato al ventre, mollemente distesa sulla sdraio. Il volto è parzialmente illuminato dalle candele, rivolto alla luna che lentamente fa il suo giro in cielo, gli occhi chiusi.
Il sole è già calato da un po’.
Fa fresco ma si sta bene fuori.
Siamo fortunati, nessuna nuvola.
Anche il tempo sembra immobile ad attendere qualcosa.
Ridacchio, perplesso.
Sembra destarsi dai suoi pensieri e mi guarda interrogativa.
“Bella notte” le dico “e adesso che succede?”
“Succede che adesso arriva la divinità” sorride lei.
Versa metà del suo bicchiere nel mio e finisce di riempire entrambi i calici con altro vino.
“… ma qualsiasi cosa accada, lascia che accada.” termina seria.
Brindiamo.
Si alza e mi porta in bagno.
Mi chiude le palpebre, ci passa sopra qualcosa e poi le accarezza lievemente.
Mi porta allo specchio: ho gli occhi bistrati, l’azzurro dell’iride  risalta alle luci artificiali.
“… ma questa è pura coreografia!” rido io.
“Hm…” risponde guardando il mio riflesso allo specchio.
Mi sento vivo.
Mi aspetto qualcosa da questa notte e so già che non sarà facile averla.
Torniamo fuori, alle sdraio.
“Cielo. Luna. Mare.” sospira “Non so se sono ancora capace di tuffarmi in un mondo privo delle soffocanti certezze umane… è lontana l’energia gioiosamente folle di Dioniso” conclude tristemente.
Sento che la sto perdendo.
Le prendo la mano e la trascino a me. La bacio. Si lascia fare.
“Questa notte lui non è così lontano” sussurro.
Si svincola.
Inizia il gioco ed qualcosa di più grande di noi.
Lo percepisco nell’aria. L’incanto è parte di me, ma lei è la razionalità, vincolata e imprigionata in un mondo che non ha più magia. Questa notte no, non deve andare così.
Lo voglio.
Mi faccio strada sotto il suo accappatoio con le mani, le stringo i seni.
C’è una frenesia in me che lei tenta di respingere.
Evita i miei baci, si scosta da me.
Ridiamo sottovoce, schermaglie silenziose su una terrazza, soffocando i sospiri.
Quanto è verità e quanto finzione non lo saprò mai, ora non ho più tempo per giocare.
La voglio.
Il mare romba in sottofondo come il sangue nelle mie orecchie, c’è una forza che mi spinge a proseguire.
Lì, alla luce delle candele, la prendo.
Non sono io, non è il mio stile, ma l’urgenza di un desiderio che viene da lontano.
Non so quanto tempo passo immobile dentro di lei.
Ansimiamo entrambi pianissimo, nessuno ha voglia di attirare sguardi indiscreti.
La sento piangere flebilmente, o almeno così mi pare. La osservo preoccupato: ha gli occhi socchiusi, un filo di lacrime riflesso dalla luce delle candele sotto le ciglia. Mi sorride.
Mi muovo piano dentro di lei, come se avessi paura di sciupare un fiore. Asseconda i miei movimenti lentamente, è sinuosa. I suoi occhi splendono alla luna, sono ancora umidi, ma l’espressione sul suo volto mi dice altro.
Mi aggancia i piedi alla schiena, si lascia trasportare dalle mie spinte.
Sento in me una frenesia che non avevo mai ascoltato prima.
Qualcosa di primitivo.
Questa notte il suo piacere sembra assorto, in contemplazione di qualcosa che cerca nel cielo oltre le mie spalle, perfettamente avvinghiata a me.
Non sono un invasore, non lo sono mai stato, ma sento la sua carne morbida e accogliente; il sangue mi pulsa veloce alle tempie, mi dice altro stanotte. Sono la risacca del mare che bagna la sabbia.
Sono le ali potenti della civetta che caccia stridendo nella notte.
Lei è fiore che si schiude al sole dell’alba, leggera brezza che porta l’odore del mare e mi scosta i capelli umidi dalla fronte.
…ma come diavolo fa a venirmi in mente proprio ora l’antica Età dell’Oro, in cui maschio e femmina non erano ancora divisi?
Eppure in questa unione sento qualcosa di più profondo di una semplice penetrazione. Questa notte non siamo semplici carni affamate.
La luna ha fatto un lungo arco nel cielo notturno quando finisco di invaderla.
Ho il fiato corto. Anche lei.
Mi sorride. La bacio, un bacio lieve ora che la furia si è placata.
Ci trasciniamo a letto avvolti nell’accappatoio, addormentandoci l’uno nelle braccia dell’altro.
Dioniso è svanito con le luci rosate dell’alba. 

… e adesso divertitevi pure a cercare un titolo adatto al racconto!