L’Amore in ufficio

Una ricerca di alcuni anni fa, condotto dall’osservatorio sociologico dell’Università di Milano riferiva che su un campione di 100 intervistati (età media 35 anni) il 35 per cento confermava di aver avuto almeno una storia sentimentale con un collega, nata in ambiente di lavoro. Per la maggioranza dei casi, circa il 65 per cento, si trattava di una storia extraconiugale e soprattutto motivata dalla noia e quindi della voglia di provare emozioni nuove.

La ricerca quindi concludeva che le storie nate nei posti di lavoro erano originate dall’attrazione, dal desiderio, più che dal sentimento, e duravano in media qualche mese e quasi mai più di un anno. Anche per chi risultava libero da vincoli affettivo-sentimentali tali storie difficilmente avevano un seguito.

L’amore sul luogo di lavoro è un tipo d’amore che sembra essere legato alla trasgressione e quindi molto raramente sfocia nella convivenza o nel matrimonio.

Questo tipo d’amore va visto assieme al tema più ampio che è quello della felicità sul lavoro. La domanda è: ” È possibile stare bene, vivere in un clima sereno in ufficio anche se non si va d’accordo con i colleghi o se il capo è una persona che dispone l’animo alla negatività?”

L’obiettivo vero da raggiungere è l’indipendenza interiore: a che cosa ci serve un amore che nasce così contrastato? Di che utilità può essere un rapporto quando genera conflitti e soprattutto è impostato alla clandestinità? Certamente l’attrazione sessuale non va sottovalutata; in questo senso l’amore lavorativo si può accettare se lì inizia e lì finisce. Vale a dire se viene accettato come un incontro dettato e animato dal desiderio. Lì finisce e lì inizia. Diventa invece molto deleterio, quando si ammanta di sfumature sentimentali, affettive (come spesso succede) dove i ruoli vengono confusi.

Se abbiamo come obiettivo l’amore felice allora il rapporto d’amore tra colleghi va evitato per non incorrere in una serie di problemi.

Attrazione, desiderio non sono emozioni da demonizzare, ma da accogliere senza sensi di colpa e falsi moralismi, semplicemente con la consapevolezza che qualcosa dentro di noi ci sta spingendo a ricercare energie che hanno bisogno di venire alla luce.

Viviamo in un periodo in cui molte persone si sono allontanate dalla spiritualità, anche se alcuni stanno riscoprendo il senso del sacro e del divino che ci abita. Recuperare la spiritualità significa ridare un senso alla nostra esistenza. Senso che non va confuso con il bigottismo a cui si è stati condizionati. Dare un senso al proprio lavoro significa ricercare la gioia: uscire dalla psicologia perversa per cui il tempo felice è quello che inizia quando si finisce di lavorare. Perché ciò accada bisogna ricercare, anche se facciamo un lavoro che non ci piace, la nostra gioia interiore.

Maura Luperto