La difficile convivenza con la vicina

«Erne’, prima di CANinciare voglio che tu scriva: CANIssimi Arial e Argo, vi faccio tanti CANplimenti e leccate dove capita perché la vostra amica umana, Maria Elisa Aloisi, ha vinto il Premio Alberto Tedeschi per il miglior giallo italiano, con il romanzo “Il canto della falena”. Bravissima! Il mio amico Ernesto, invece, non vince mai niente».

«Azz’, grazie per la stima! Questo finale potevi evitarlo, no?»

«Bahò, mica vorrai CANsurarmi

«Ma va, dicevi “Bravissima!”e basta. Anzi, lo dico anch’io: bravissima Elisa! Vedi?, non serve che parli di me».

«Serve, serve… lascia tutto così e BAUsta, che ho una cosa strana da raccontare…»

C’è stato un giorno che sono rimasto da solo a casa con un’umana vecchia un po’ grassoccia con la testa bianca-bianca.

«Era la signora Nunzia, la napoletana dell’ottavo piano, Shagghi».

Va bene, lei. Quel giorno era rimasta con noi per non dare fastidio ai muratori nel suo aBAUrtamento. Non l’ho mai detto a nessuno, ma quando eravamo rimasti da soli perché Rossella ed Ernesto erano usciti a fare la spesa, aveva fatto cose strane. Stranissime! Per cominciare si era messa seduta in un CANtuccio sul mio divano e mi parlava. Mi diceva che era mia nonna! Ne era convinta. E mentre mi parlava, con le mani si stirava la gonna sulle gambe e mi chiedeva di stare fermo.

«Ma che dici?»

Bahò, mi guardava fisso negli occhi: «Cane» mi diceva, «Cane, tu puoi fare il bravo? Per favore, io non sto tranquilla qua co’ te e ogni volta che ti avvicini tremo tutta».

SantoCAN, le abbaiavo di stare serena, ché gli amici della mia famiglia erano anche amici miei, ma niente: più glielo abbaiavo io e più lei si agitava, «Gesùgesù, fa’ ‘o brav pe’ piacer’». Allora si alzava e cominciava a girare attorno al tavolo e io la seguivo perché credevo fosse un gioco. All’improvviso si voltava e urlava: «Ueuè, tu stai ancora aCÀN?», e io abbaiavo dal ridere.

Quando mi diceva “aCÀN” io credevo che dicesse cose belle e le abbaiavo cose felici, per giocare. Niente, non mi capiva proprio e ricominciava a girare attorno al tavolo e a dire cose del tipo «Chi me l’ha fatto fare a venire aCÀN» e io abbaiavo di nuovo, o «Mannaggia ‘o pat’turc a stu CAN’» eddaje che riabbaiavo, o «All’anim’ ‘e chi t’è muort’» e io scodinzolavo perfino.

La cosa andava avanti fino a quando non si stancava e si sedeva sul mio divano, e partiva da capo. Cose da pazzi, proprio! Ah, e quando le scodinzolavo vicino la nonna si lamentava che le facevo spuntare i lividi sulle gambe. Niente, neanch’io ero tranquillo con lei in casa che girava attorno al tavolo e gridava cose strane.

«Shagghi, tante persone non riescono a stare vicini ai cani, neanche a quelli più piccoli e innocui».

«Ma Rossella dice che sono BAUvissimo».

«Certo, per noi è così. Però c’è chi è terrorizzato anche se un cane gli sta a debita distanza. Perché non ci hai mai detto niente?»

«Erne’, lì per lì ci ho provato, ma ancora non eravamo molto affiatati noi due».

La verità è che ho preferito non dire nulla perché sempre lei, la vicina, era la nonna della figlia del figlio…

Ma non posso dire tutto, adesso bausta che ho voglia di accucciarmi un po’.

Alla prossima, se vorrete…

Ernesto Berretti (sotto dettatura di Shagghi)