La prima quarantena del Sior Pare

Quando si parla col Sior Pare non si sa mai dove lo possa portare il racconto. Sarà che alla sua veneranda età di cose ne ha fatte parecchie, il fatto che a lui piaccia raccontare, poi mettiamoci magari un paio di bicchieri di vino e il gioco è fatto.

È così che un semplice spunto mentre si pranza può trasformarsi in un racconto di vita che non sapevi o di cui ti aveva parlato in maniera poco approfondita.

Quando il Sior Pare aveva 3 anni venne a mancare suo padre, fu così che venne mandato in collegio. Lui era l’ultimo di cinque fratelli, l’Italia era in guerra, di certo non potevano star dietro anche a un bimbo piccolo. Fu lì che prese la “pertosse“.

  • I passava ogni tanto e ispession sanitarie, i fazeva tute e visite, come dopo i e fazeva nee scuoe elementari. I me ga vardà e i me ga trovà ea tosse Pagana, ea Pertosse, ea tosse cativa, i ea ciama in sentomia modi, e i me ga portà aea Grassia. Ti ga presente l’isoetta co ti vien fora dal canal dea Giudecca par andar in laguna . (Passavano ogni tanto le ispezioni sanitarie, facevano tutte le visite, come dopo facevano nelle scuole elementari. Mi hanno guardato e mi hanno trovato la tosse Pagana, la Pertosse, la tosse cattiva, la chiamano in centomila modi, e mi hanno portato alla Grazia. Hai presente l’isoletta quando vieni fuori dal canale della Giudecca per andare in laguna.)”

Fino a qualche decina di anni fa a Venezia quando si rimaneva contagiati da una malattia infettiva si veniva subito trasportati alle “Grazia” , ovvero l’isola di Santa Maria della Grazia dove tutti i contagiosi venivano messi in quarantena.

  • Gera apena finìa ea guera. Me svegio ‘na note par andar in gabineto, vardo. Ghe gera ‘sto saeon grando enorme, che gera ribassà, sotto al liveo stradal e ti vedevi fora ea gente che te veniva a trovar. No podeva entrar nissuni e se se vardava uno dentro e chealtri fora. Come che vedemo to mare ‘desso. Insomma vardo ‘sto saeon, co ‘ste coonne altissime e grandi e vedo tuto nero, vardo cossa che xe chel nero e, aea fine, gera tute mosche! Foderà! (Era appena finita la guerra. Mi sveglio una notte per andare in gabinetto, guardo. C’era questo salone grande enorme, che era ribassato, sotto al livello della strada e vedevi fuori la gente che ti veniva a trovare. Non poteva entrare nessuno e ci si guardava uno dentro e gli altri fuori. Come vediamo tua madre adesso. Insomma, guardo questo salone, con queste colonne altissime e grandi e vedo tutto nero, guardo cosa è quel nero e, alla fine, erano tutte mosche! Foderato!)”

E poi continua col suo racconto:

  • I veniva a trovarme e me soree, me xia, ora no me ricordo. E ghe gera el moroso de me sorea che eavorava el legno, el me ga regaeà il pinocchio in bicicletta, eo gaveva fato iu, no? E quando che so andà via e tornà in coegio, i eo gà eassà eà, no se podeva portarlo via. Quanto me ga dispiasso perder quel zogattoeo! (Venivano a trovarmi le mie sorelle, mia Zia, ora non mi ricordo. E c’era il moroso di mia sorella che lavorava il legno, mi ha regalato il Pinocchio in bicicletta, lo aveva fatto lui, no? E quando sono andato via e tornato in collegio, lo hanno lasciato là, non si poteva portarlo via. Quanto mi è dispiaciuto perdere quel giocattolo!)”

Mentre me lo raccontava l’altro giorno mi sono resa conto di quante analogie ci siano con i giorni nostri. Poteva vedere i parenti solo attraverso un vetro, come fa ora con Siora Mare, non poteva uscire, avere contatti con nessuno. Ed era solo un bambino, per di più rimasto orfano intanto anche della madre.

È strano pensare a come, di tutta quella situazione, a lui siano rimasti impressi quei due particolari fondamentali. Il salone, come se fosse stato dentro ad un incubo, e il pinocchio di legno, un regalo dato col cuore a cui ha dovuto rinunciare. La cosa che mi fa più specie è che ho anche io un ricordo simile di quando, avevo 7 anni più o meno come lui all’epoca, mi hanno operata alle adenoidi. Mi avevano regalato una navicella Lego bellissima, io andavo pazza per puzzle e costruzioni fin da piccolissima. Non mi ricordo come mai, ma alla fine della degenza quella navetta rimase in ospedale. Nel suo caso era ovviamente una questione di igiene, nel mio una semplice dimenticanza ma che comunque mi è rimasta impressa. La gioia del regalo ricevuto durante la malattia e la disperazione per non averlo potuto portare a casa.

Probabilmente è perché in fondo sono proprio le piccole cose a restarci più impresse nel cuore.

Che quel Pinocchio di legno in bicicletta stia ancora girando per Venezia? Mi piace pensare di sì. Passato di mano in mano ad altri bambini in quarantena per dargli conforto fino a che qualcuno sia finalmente riuscito a portarlo a casa.

Anna