L’ultima rovesciata di Pelè

Il calcio si può amare, odiare o esserci indifferenti, ma non a caso l’uomo più famoso al mondo dopo il Papa è sempre stato solo lui dal 1958 in poi:  Edson Arantes do Nascimento, chiamato Dico, per tutto il mondo Pelè.

O Rei nasce a Tres Coracoes in Brasile nel 1940 e nel ’45 si trasferisce a Bauru ed è qui che inizia a giocare con alcuni ragazzi del quartiere fino a farsi notare dall’ex giocatore della Nazionale Verdeoro, Waldemar De Brito, che lo porta a fare un provino per il Santos, squadra a cui fu sempre legato se non per gli ultimi scampoli di carriera negli Stati Uniti con i Cosmos di Chinaglia e Beckenbauer, una sorta di primi Galacticos.

Il resto è la storia del calcio. O il calcio stesso. Perché c’è un prima e un dopo Pelè.

Il calcio prima era tutto schemi e fisicità, soprattutto dopo il Maracanazo (la storica sconfitta subita in casa dal Brasile contro l’Uruguay nel mondiale del 1950), poi arrivò questo ragazzino che col suo stile di gioco fatto di palleggi, dribbling e scatti veloci, batté ogni record. Il giocatore più giovane a giocare in una fase finale di un Mondiale. L’unico a vincerne tre, di cui due di fila e il primo a soli 17 anni. 1281 gol in carriera di cui 77 con la nazionale brasiliana. Atleta del secolo per il CIO e calciatore del secolo per la FIFA.

Prima il 10 era un numero come tanti, poi divenne l’icona, il simbolo, l’ispirazione e il sogno di tutti i bambini che calciavano un pallone.

Uno dei miei primi ricordi di bambina era una sua foto nella pizzeria sotto casa. Sentivo i racconti degli adulti, vedevo gli spezzoni delle sue partite in televisione, le sue incredibili giocate e provavo a imitarle.

Uno di quei bambini del Bauru con cui giocava per le strade era di origini italiane e dopo qualche anno tornò qui. Una volta adulto divenne un grande amico dei miei genitori e raccontava sempre di come fossero come fratelli, ci raccontava le sue gesta, il suo essere sempre e comunque umile. Un giorno Pelè venne a Milano e lui non ci pensò un attimo e prese il primo treno per andarlo a trovare in albergo. La security lo fermò subito, ma lui non si arrese e inizio a chiamarlo a gran voce tra la folla “Dico! Dico!“. Quando O Rei sentì il suo urlo mollò tutto e corse da lui per abbracciarlo, e piansero e risero, come se non fosse passato un giorno.

Nel 1981, quattro anni dopo il ritiro, recitò nel film di John Huston “Fuga per la vittoria” (Victory), liberamente ispirato alla “Partita della morte” di Kiev tra una squadra di ufficiali tedeschi e dei calciatori ucraini. Da lì, nell’immaginario popolare, il gesto tecnico della rovesciata fu associata indissolubilmente a Pelè, portando i ragazzini (io in primis) a provarla e riprovarla nelle strade e nei campetti di tutto il mondo.

La celebre rovesciata in “Fuga per la vittoria” (1981)

Pelè non è stato solo un calciatore, ma un simbolo, l’ambasciatore del calcio in tutto il mondo, riuscito pure a fermare per 48 ore la guerra civile in Nigeria per permettere ai combattenti di vedere una sua partita amichevole a Lagos.

Ha combattuto diverse battaglie contro la corruzione nel calcio brasiliano, contro l’uso di sostanze stupefacenti, il razzismo e le discriminazioni sessuali, tanto da celebrare nei suoi canali Social la calciatrice brasiliana Marta, prima donna a segnare un gol in 5 edizioni consecutive dei giochi olimpici:

“Quanti sogni pensi di aver ispirato? Il tuo è molto di più di un primato personale. È il simbolo della speranza di un mondo migliore, in cui le donne conquistino molto più spazio. Questo momento ispira milioni di atlete, di tante diverse discipline e di ogni parte del mondo, che lottano affinché vengano riconosciuti i loro diritti. Complimenti, tu sei più di una calciatrice, perché con i tuoi piedi aiuti a costruire un mondo migliore”

Ha perso la sua partita più importante, quella contro il tumore al Colon che combatteva dal settembre 2021. Ma ha vinto quella con la storia, ispirando le ultime generazioni e sicuramente anche quelle future, rendendo possibile, con il suo amato pallone, tutto ciò che per gli altri atleti non era nemmeno pensabile. Sombreri, rovesciate, pallonetti, doppi passi, colpi di tacco… Come ha twittato Erling Haaland, lui li aveva già fatti tutti.

Grazie Dico.

Photo credit: Fifa.com