Intervista con l’autore: Andrea Venturo

Elisa: Ciao Andrea, raccontaci un po’ di te, come nasce l’amore per la scrittura?

Andrea: Eh… è una storia bella lunga, mettiti comoda.

Fino a tutto il 1980 ho odiato i libri, non solo: ma trovavo la scuola dannatamente noiosa. Quel natale mi fu regalato l’ennesimo libro, nel tentativo di farmelo leggere, cosa che io rifiutai di fare fino al febbraio successivo. Poi cosa accadde? Cominciai il catechismo. Tutti i miei compagni di classe ci andavano e volevo andarci pure io (mera imitazione, mica avevo capito cosa fosse, ma avevo nove anni) per stare con loro e parlare delle stesse cose che raccontavano… inclusa la partita di calcetto pre-catechismo, che mi attirava assai. E cosa combinò mio padre? Siccome alla parrocchia del quartiere non c’era posto mi iscrisse a quella dove lui ne combinò di cotte e di crude per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Così scoprii che il catechismo era un’altra scuola… una fregatura insomma. Banchi, sedie, una suora che spiegava cose a me arcinote (ero piuttosto precoce, ma questa è un’altra storia) e che intervallava con sue personalissime esperienze mistiche a base di santi e madonne apparse in situazioni varie. Oggi avrei domandato “Vorrei conoscere quello che vende l’incenso in chiesa” ma a quei tempi, semplicemente, credevo che la signora avesse interpretato la realtà dei fatti alla luce del proprio vissuto… un po’ come io che avevo creduto a Babbo natale fino al natale appena trascorso, quando accanto alla pista delle macchinine mi ero ritrovato con quel libro grosso e pesante e del quale avrei fatto volentieri a meno, magari a favore della replica dell’Arcadia (la nave di Capitan Harlock) che avevo chiesto.

Il corso di preparazione alla prima comunione iniziò a fine gennaio ’81, ma già dopo la prima lezione io sentii di averne avuto abbastanza: mi avevano dato anche i compiti da fare. Mannaggialapupazza: anche i compiti, come se quelli di scuola non fossero sufficienti. Mi sentivo completamente truffato. Fu così che un piovoso pomeriggio di settembre mi trovai con il libro ricevuto a Natale, chissà come, al posto di quello del catechismo nella cartella. Quando la suora commentò con un «va bene, me li porterai la prossima volta» il mio «suora, ho dimenticato il quaderno a casa!» e nel dirlo contemplavo la grossa costa blu con su scritto “Viaggio al Centro della Terra – J. Verne” e che, se non altro, prometteva qualcosa di leggermente più interessante dei racconti a base di santi incontrati un po’ ovunque dalla vetusta mistica mentre si aggiustava la dentiera. Sì, la dentiera: evidentemente non le stava proprio bene e ogni tanto calava giù dalla gengiva e alle storie a sfondo religioso si aggiungeva una pioggia di cui coloro che si erano presi il posto in prima fila, dicendo “state voi più indietro”, a quel punto s’erano già pentiti. A quel punto provai a sfogliare il libro, tanto stavo in fondo alla classe e non sarei stato notato. Praticamente non mi accorsi che la lezione era finita: ero incollato alla storia raccontata da Verne senza alcuna possibilità di abbandonare le pagine. La cosa bella è che ancora oggi, a oltre 40 anni di distanza, ricordo il momento in cui cominciai a sfogliare quelle pagine e la sensazione che provai. Dopo aver letto la prima frase non ero più in una gelida aula di catechismo, bombardato dagli sputazzi di una vecchia visionaria, ma per le strade di Amburgo a fianco del professor Otto Lidenbrok a scoprire le tracce lasciate da Arne Saknussem su come egli raggiunse il centro della terra. Finii il libro, un tomo di 450 pagine, in tre giorni e poi non contento lo rilessi per scoprire che mi ero perso dei dettagli e allora lo rilessi un’altra volta. Non mi era mai successo, ma a quel punto cominciai a leggere qualsiasi altra cosa purché mi desse le stesse sensazioni di quel libro… e via con “20000 leghe sotto i mari” e poi il giro del mondo in 80 giorni, 5 settimane in pallone, dalla Terra alla Luna; non mi sono più fermato. Da allora ho perso il conto di quanto possa aver letto, ma solo nella mia biblioteca ci sono 1200 libri cartacei per tacere di quelli che ho nel kindle. Però passare dalla lettura all’idea che “Posso scriverne uno anche io” il passo fu breve, brevissimo: mio padre aveva una macchina per scrivere, una Olivetti Lettera 32, e metterci le dita sopra fu un attimo. La storia si concluse dieci anni più tardi, nel 1991: l’anno della maturità. Con un mio tema la mia scuola vinse un portatile e a me arrivò una telecamera del valore di quasi 2 milioni, lo stesso anno la rivista “MC Microcomputer” pubblicò il mio primo racconto “Difensore” e, insomma, potevo dire di aver cominciato a scrivere in modo serio. Quanto sarebbe durata non potevo dirlo ancora, ma… eccomi qua.

Elisa: Quali sono gli scrittori che più ti hanno ispirato?

Andrea: Sicuramente c’è Verne, senza il quale non avrei mai amato la lettura e quindi non avrei mai avuto voglia di raccontare a mia volta storie. Però l’elenco è lunghetto: comprende scrittori, autori di teatro, cinema, radio, musica, cartoni animati, pittori, scultori, architetti… ed è così corposo che a partire dal secondo libro pubblicato “i razziatori di Etsiqaar” lo metto sempre in coda, assieme ai ringraziamenti. Nascosti nella trama di ogni storia ci sono elementi che ho preso in prestito un po’ ovunque. Per dire: nell’ultimo romanzo pubblicato “Lo specchio di Nadear” vengono citati (ma in modo da rispettare l’altrui proprietà intellettuale, oltre che l’ambientazione della storia) tanto Samarcanda di Vecchioni, che Frankenstein Jr. che il TARDIS della serie Doctor Who e tanto, tantissimo altro, che si rivela un poco per volta. C’è anche la ragazza con l’orecchino di perla e le opere del Palladio, per dire.

Elisa: Tu sei uno scrittore di fantasy, come e quando è nata la passione per questo genere narrativo?

Andrea: Nei dieci anni compresi tra il 1981 e il 1991 non potendo permettermi di comprare libri, mi iscrissi alla biblioteca comunale vicino casa, poi scoprii che ce ne erano altre e, pian pianino, mi iscrissi a tutte arrivando ben oltre il raccordo. Per esempio il mio primo fantasy lo lessi nella biblioteca di Ladispoli. Verne mi piaceva, ma poi scoprii Salgari, e Burroughs, e Brooks, e Lewis… la frittata era quasi fatta: nel 1985 Dungeons & Dragons (il gioco di ruolo) diede il colpo finale trascinandomi “di persona” in quei mondi che fino a quel momento avevo solo immaginato attraverso le parole.

Elisa: Come prepari il tuo World Building quando progetti un romanzo?

Andrea: Come per un’avventura per il gioco di ruolo. Scrivo chilometri di testi per descrivere a me stesso come sono fatte stanze, edifici, città, lande, perché si sono formate certe montagne e che leggende ci sono… per scrivere il background di Tharamys, le storie dove sono ambientati “Il Torto”, “I razziatori di Etsiqaar” e “Lo specchio di Nàdear” ho scritto cose (e continuo a scriverne perché la serie continua: ho tre romanzi in cantiere) dal 2012 al 2016 prima di poter dare vita al primo dei tre romanzi. Il guaio del fantasy è che dovendo raccontare di luoghi che non esistono, con leggi molto diverse dalle nostre (perché esiste la magia, per esempio) mi occorre molto studio prima. Buon per me che mi piace leggere. Per il romanzo n°4 che ormai è quasi ultimato, per dire, ci sono voluti due anni di studio preparatorio. Col nostro mondo è più facile: per la “Piccola Storia triste”, lungo racconto pubblicato lo scorso febbraio,  è una finzione ambientata in un liceo romano immaginario: il liceo scientifico G. Leopardi; mi ci son voluti appena quattro mesi. Del resto avevo già tutto, dovevo solo disegnare la pianta del liceo per essere sicuro di come si muovevano gli studenti.

Elisa: Scegli uno scrittore (anche del passato) con cui andare a cena. Puoi fargli tre domande quali sono?

Andrea: Ach… solo tre? Prenderei Clive Cussler, parso di recente, e di domande Rei come ha fatto a coniugare la sua passione per il mare e le esplorazioni subacquee e la letteratura. Quando Clive raccontava di qualcosa che accadeva in acqua, la vividezza delle sue descrizioni superava quella di Salgari. Se lo raccontava lui potevi anche credere che il Titanic avrebbe potuto riemergere.

La seconda domanda sarebbe stata “come hai fatto a cambiare ambientazione e a raccontare una storia come il cacciatore, ambientata a terra e in un’epoca, la fine del West, ben lontana da quella che è stata per anni la tua zona di comfort?

E la terza: sai che mi manchi, vero?

Ci siamo scambiati qualche messaggio via facebook, prima che morisse. Gli ho raccontato di come uno dei miei protagonisti sia la risposta alla domanda « se uno dei tuoi personaggi fosse nato in un mondo Fantasy, cosa avrebbe fatto?»

Ed è così: il protagonista del Torto e delle storie successive è stato modellato pensando a come poteva essere Dirk Pitt a 12 anni in un mondo popolato da elfi, Nani, draghi, orchi… ecc…

Lui ha riso e mi ha ringraziato per aver condiviso questa storia.

Elisa: Un personaggio della letteratura fantastica con il quale andresti in vacanza e perchè ( a proposito dove lo porti?)

Andrea: Probabilmente sarebbero i gemelli Böendall e Böindil, Nani, creati dalla fantasia di Markus Heitz e che ha dato vita a una saga di stampo tolkieniano. Li porterei dove vivo adesso, tra le Dolomiti di Brenta e l’Adamello:di sicuro non gli mancherebbero né la birra, né le montagne e se pure non ci sono orchi da combattere, quand’è stagione ci sono certi turisti maleducati cui insegnare le buone maniere ai quali le azze dei gemelli farebbero taaaanto bene 😁