42, il coraggio di resistere

1946. La Major League di baseball nordamericana schiera sedici squadre e quattrocento giocatori. Tutti bianchi.

1947. A inizio campionato, la “White line” del baseball conta 399 atleti. “Un uno in meno che non passò inosservato”. Si chiama Jackie Robinson.

Il 15 aprile 1947, Jackie 42 Robinson gioca la sua prima partita in Major League per volere di un General Manager che se ne frega delle regole: Branch Rickey. Una sfida all’opinione pubblica e all’establishment sportivo che dopo settantatrè anni ha ancora molto da insegnare.

Prima di tutto, il coraggio della resistenza.

Appassionato di sport, da ragazzino Jackie si distingue in atletica, football, tennis e basket. Sembra avviato a una carriera nel football quando avviene l’attacco giapponese a Pearl Harbor. È il 1941. Si arruola, ma la sua storia di soldato ha vita breve: nel 1944 rifiuta di sedersi in fondo a un bus militare, aperto a tutti, ma solo in teoria.

Dopo la seconda guerra mondiale, una volta rientrati in patria, i soldati di colore si ritrovano vittime del razzismo più becero, grazie alle leggi Jim Crow, sia locali sia dei singoli stati degli Stati Uniti d’America, emanate tra il 1877 e il 1964. Di fatto servono a creare e mantenere la segregazione razziale nei servizi pubblici, dalle scuole ai mezzi di trasporto, passando per ristoranti e alberghi, istituendo uno status definito di “separati ma uguali” per i neri americani e per i membri di altri gruppi razziali diversi dai bianchi.

Io sono nato per resistere

Ostinato, impermeabile (o quasi) a pressioni, intimidazioni, scioperi reiterati delle squadre avversarie, alberghi e ristoranti diversi da quelli del resto del team dei Brooklyn Dodgers, debutta a Montreal dopo sessant’anni in cui i giocatori di colore hanno militato in leghe locali o nella Negro League. La stampa lo denigra e lo osteggia. I lanciatori avversari gli tirano la palla addosso volutamente. L’episodio più grave si verifica il 22 aprile 1947 durante una partita contro i Philadelphia Phillies: dopo averlo chiamato nigger, i giocatori avversari gli urlano di “tornare nei campi di cotone”. Riceve lettere con minacce di morte. Lui abbozza. Quasi sempre. Ma ci pensa Branch Rickey.

“Vuole uno che non ha il fegato di fare a pugni?” “No, voglio un giocatore che ha il fegato di non fare a pugni”.

Ci sono però anche molti giocatori che lo sostengono, come Pee Wee Reese, suo compagno di squadra: “Puoi odiare un uomo per molte ragioni. Il colore non è una di queste“.

Una frase, una storia. Raccontata nel film 42.

Il film scorre via “semplicemente”, come la storia della vita di Jackie. Solo la cruda realtà. Ed emoziona proprio per questo. Perché vince la gentilezza, vince il silenzio consapevole sul sopruso chiassoso, vince il talento sull’ignoranza. Una disponibilità che non è mai debolezza, ma rappresenta la forza dirompente di essere nel giusto. Alla fine vincono i diritti civili su un vergognoso atteggiamento di ridicola supremazia della razza.

L’ignorante attacca con la bocca, il saggio si difende col silenzio

La musica comincia a cambiare: con il suo talento, il suo atteggiamento – e le vittorie che zittiscono anche l’oppositore più accanito, come sei campionati e un All Star Game – Jackie 42 Robinson apre la strada a giocatori del calibro di Roy Campanella, Satchel Paige, Don Newcombe.

Alla fine, anche le roccaforti estreme si arrendono: è il 1961, i Boston Red Sox mettono sotto contratto il loro primo giocatore afroamericano.

Jackie 42 Robinson si ritira nel 1956, rifiutando il trasferimento ai New York Giants. Nel 1965 diventa commentatore per il programma “Major League Baseball Game of the Week” dell’emittente ABC. Muore nel 1972, a cinquantatré anni.

Nel 1997 tutte le squadre di Major League di baseball in USA e Canada ritirano la maglia numero 42 in suo onore. L’ultimo ad averla indossata è Mariano Rivera dei New York Yankees.

La sua è l’unico esemplare di maglia da baseball numero 42 battuta all’asta per 42 milioni di dollari, il 19 novembre 2017 a Dallas.

Ogni anno, il 15 aprile è The Jackie Robinson Day. Tutti i giocatori di ogni squadra scendono in campo con un solo numero sulla schiena, il 42.

cricol

In memoria di Chadwick Boseman